LA COLLABORAZIONE FRA STATO ED ENTI TERRITORIALI NEGLI STATI COMPOSTI DELL´UNIONE EUROPEA
Eleonora Ceccherini*
I. Premessa
L´evoluzione degli Stati composti spinge a una continua ricerca della miglior configurazione dei rapporti fra centro e periferia, al fine sia di raggiungere una maggior efficienza del sistema nel suo complesso, sia di salvaguardare l´autonomia delle comunità territoriali. Il modello di Stato composto (sia federale che regionale) così come originariamente ideato dai teorici sembra, ormai, essere superato dalla realtà degli Stati federali, la cui trasformazione contribuisce a delineare nuovi sistemi di relazione fra Federazione e gli Stati membri
In un primo momento, si viene affermando il principio per il quale una volta attribuite le competenze a ciascuno dei livelli di governo, le rispettive funzioni possono essere svolte in maniera del tutto autonoma e senza avvertire l´esigenza di un momento di incontro o collaborazione fra la Federazione e le autonomie decentrate; si riteneva che i rapporti tra gli enti substatali e lo Stato dovessero essere improntati secondo un´ottica di separazione. Pertanto, all´indomani della nascita degli ordinamenti composti si favoriva una lettura degli elenchi in Costituzione che privilegiava la distinzione piuttosto che l´integrazione. Rimanevano, invece, in ombra quei profili del dettato costituzionale che ponevano l´attenzione non tanto sulla garanzia delle rispettive sfere di competenza, quanto sull´esigenza del coordinamento e della collaborazione.
Tuttavia, questo modello mostra ben presto i limiti, lasciando il posto ai principi della cooperazione, per i quali qualsiasi attività significativa di governo deve essere svolta attraverso l´impegno congiunto e coordinato da parte dello Stato centrale e delle autonomie territoriali.1 Pertanto, si viene affermando un modello di relazioni tra lo Stato e le Regioni fondato sul principio collaborativo (il c.d. federalismo-regionalismo cooperativo) basandosi sull´assunto per il quale siano limitate le ipotesi di attività configurate come di esclusiva competenza di un solo livello di governo.2
In molti ordinamenti, il federalismo-regionalismo cooperativo è stato favorito dall´introduzione del principio della leale collaborazione, in base al quale si devono strutturare i rapporti fra i diversi livelli istituzionali. Non a caso questo principio (nelle sue differenti formulazioni) viene posto alla base dei rapporti fra Stato centrale e autonomie territoriali e la sua introduzione si deve prevalentemente all´apporto della giurisprudenza costituzionale.
Ad esempio, in Germania, il principio della Bundestrue rappresenta una pietra angolare del sistema federale tedesco, svolgendo anche un ruolo di integrazione rispetto al riparto di competenze fra Bund e Länder.3 Il Tribunale costituzionale tedesco, che ha avuto l´occasione di introdurre per la prima volta detto principio in una pronuncia del 1952,4 ha affermato che «il principio federalistico della Costituzione contiene il dovere giuridico di tutti coloro che partecipano al "patto" costituzionale di cooperare in conformità all´essenza di tale patto e di contribuire al suo rafforzamento, nonché alla garanzia degli interessi comuni».
Anche in Spagna, il principio di collaborazione è stato enucleato dai giudici costituzionali, i quali hanno ritenuto che si trattasse di un principio dal contenuto complesso, che investe molteplici campi e che costituisce il fondamento delle relazioni fra lo Stato e le Comunità autonome.5 E´ stato nella sentenza n. 18 del 1982, che il Tribunal ha precisato le caratteristiche del principio di collaborazione, parlando di spirito che deve animare le relazioni delle parti nell´esercizio delle rispettive e separate competenze e sostanzialmente, affermando l´impossibilità per uno Stato composto di funzionare in modo ordinato, se le parti che lo compongono non si muovono in un´ottica collaborativa o di reciproca interazione.6 Il principio di collaborazione deve muoversi secondo la concezione della lealtà "autonomica" (o —come è stato richiamato in seguito— di buona fede "autonomica").7
In Italia, in un primo momento l´introduzione del principio della leale collaborazione è stata realizzata dalla Corte costituzionale, la quale, a partire dalla sentenza n. 64 del 1987 —in più occasioni— ha affermato che detto principio si situa alla base delle relazioni fra lo Stato e le Regioni.8 A differenza, però degli ordinamenti precedenti, la legge costituzionale n. 3 del 2001 di riforma del Titolo V Parte II della Costituzione ha costituzionalizzato espressamente questo principio, anche se lo ha fatto a proposito dell´intervento sostitutivo del Governo nei confronti dei livelli decentrati.9
L´affermazione del principio collaborativo pone, quindi, alla ribalta in maniera amplificata il problema della definizione delle modalità della partecipazione effettiva delle entità decentrate alla politica generale dello Stato centrale. Gli strumenti attraverso i quali si estrinsecherebbe siffatto rapporto collaborativo sono, in genere, nell´esperienza comparata, l´esistenza di una Camera territoriale e/o la partecipazione ad organi misti.
II. Il ruolo del Senato
In un primo momento, la presenza o meno di un Senato rappresentativo delle autonomie sembrava monopolizzare e qualificare in gran parte il dibattito sulla partecipazione dei livelli istituzionali decentrati alle funzioni statali, giungendo alla conclusione dell´ineluttabilità di federalizzare (o regionalizzare) almeno un organo legislativo dello Stato centrale, al fine di costituire un´assemblea di rappresentanza degli interessi delle comunità territoriali.10 In questo modo, le entità territoriali, partecipando alla funzione legislativa federale, acquisirebbero (o recupererebbero, nel caso ci trovassimo di fronte a transizioni da forme confederali)11 parte di sovranità.12
A ben vedere, dunque, la presenza di una camera degli Stati costituisce una priorità per l´esistenza stessa di una forma di stato pluralistico. Volendo far riferimento brevemente all´esperienza italiana, è indubbio che il tema della modifica del Senato nella direzione di un organo rappresentante le autonomie regionali ha costituito un aspetto ricorrente nel dibattito emerso nei vari tentativi di riforma costituzionale. Anche se è da precisare che la regionalizzazione del Senato italiano rappresenta più un leit motiv di fondo che un orientamento consolidato. Infatti, se diamo un rapido sguardo ai disegni di legge di riforma costituzionale, in particolare, quello elaborato dalla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (istituita con la legge costituzionale n. 1 del 1997) e quello attualmente in esame in prima lettura al Senato, vediamo che la volontà politica di configurare la seconda camera, come un foro di effettiva rappresentanza regionale, è assai labile.
Il testo di riforma della Costituzione elaborato dalla Commissione bicamerale per le questioni istituzionali (la cosiddetta Commissione D´Alema) aveva prefigurato un Senato eletto a suffragio universale diretto sulla base di una ripartizione di seggi proporzionale alla popolazione delle singole Regioni. Qualora il Senato avesse dovuto esprimersi su questioni di interesse regionale o locale, avrebbe dovuto essere integrato da consiglieri regionali, provinciali e comunali eletti in ciascuna regione in numero pari dei senatori; tuttavia, la sessione integrata del Senato avrebbe avuto solo funzioni consultive.13
La questione della riforma del Senato in Italia rimane, a tutt´oggi, incerta, in quanto attualmente il disegno di legge di iniziativa governativa di riforma del Titolo I parte II della Costituzione (d.d.l. n. 2544 B) prevede che i senatori siano eletti a suffragio universale e diretto su base regionale, in proporzione alla popolazione delle Regioni. Anche in quest´ ultimo disegno di legge, è prevista l´integrazione del Senato da parte di rappresentanti delle Regioni (eletti dai rispettivi Consigli regionali) e delle autonomie locali (eletti dai rispettivi Consigli delle autonomie locali), che, però, partecipano alle sessioni senza diritto di voto. Emerge, ancora una volta, come —al di là delle formulazioni enfatiche— il disegno di legge non sia in grado di configurare il Senato come camera di rappresentanza delle autonomie. Infatti, non sembra assolutamente sufficiente la previsione in base alla quale sarebbero eleggibili a senatori di una Regione solo coloro che abbiano ricoperto o ricoprano cariche pubbliche elettive in enti territoriali locali o regionali, all´interno della Regione, o sono stati eletti senatori o deputati nella Regione o risiedono nella Regione alla data di indizione delle elezioni.
I brevi cenni ad alcuni dei disegni di legge di riforma costituzionale del Senato testimoniano come in Italia ci si muova in un clima di grande incertezza rispetto al tema della regionalizzazione della seconda camera, in quanto i disegni di legge di riforma non affrontano in maniera decisa il tema della rappresentanza delle Regioni negli organi legislativi, limitandosi a modifiche che non muterebbero incisivamente il ruolo finora svolto dal Senato.14
Comunque, le attuali assemblee di rappresentanza delle entità territoriali vivono una crisi di legittimazione anche in quegli ordinamenti che pure definiscono la seconda camera come un´assemblea rappresentante delle autonomie territoriali. A titolo esemplificativo, possiamo citare la Spagna, l´Austria e anche il Belgio.
Nel paese iberico, la Costituzione non esplicita regole e strumenti di relazione fra i poteri statali e quelli delle Comunità autonome, con l´unica eccezione costituita dal Senato, il quale è definito "Camera di rappresentanza territoriale" (articolo 69). Tuttavia, la dottrina spagnola è concorde nel sottolineare che le sue modalità di composizione e, soprattutto, la sua organizzazione lo rendono inadeguato rispetto alla disposizione costituzionale. La Camera alta è, infatti, composta da membri di origine provinciale e regionale. I primi —eletti a suffragio universale diretto— sono quattro per ogni provincia, indipendentemente dal numero degli abitanti, mentre i secondi sono eletti dalle assemblee legislative delle Comunità autonome: ciascuna di queste ha diritto a eleggere almeno un senatore più uno ogni milione di abitanti. E´ evidente che la proporzione fra senatori eletti direttamente e quelli di estrazione regionale è a favore dei primi, snaturando, quindi, quella funzione rappresentativa delle Comunità, millantata dal testo costituzionale. Di conseguenza, il Senato spagnolo ripropone al suo interno meccanismi del tutto analoghi alla Camera bassa, infatti, il suo ruolo ricalca quello della Upper House degli Stati unitari, in cui più che come rappresentante delle istanze decentrate si configura come una camera di riflessione all´interno del procedimento legislativo.15
La riforma del regolamento del Senato del 1994, che ha reso possibile l´istituzione della Commissione Generale delle Comunità Autonome, non sembra smentire le precedenti affermazioni. Questa Commissione è costituita da 62 senatori e vi si possono incorporare altri 15 senatori eletti dai parlamenti regionali con diritto di parola ma non di voto. La Commissione è considerata un utile strumento di rappresentanza delle Comunità Autonome. Infatti, in base alle sue competenze, la Commissione svolge una funzione referente sui progetti di legge di interesse regionale, esprime un parere su tutte le questioni riguardanti i rapporti fra Stato e Comunità Autonome, fornisce delle indicazioni in ordine alla partecipazione delle Comunità Autonome all´Unione Europea e, in generale, ha il compito di rafforzare la collaborazione fra lo Stato e le autonomie territoriali.16 Pur svolgendo un ruolo significativo, tuttavia, non è in grado di mutare l´essenza del Senato, che a tutt´oggi sembra essere inadeguato rispetto alle funzioni di rappresentanza qualificata dei livelli territoriali substatali.
Analogamente sono rinvenuti elementi critici anche per quanto riguarda il Senato belga che si configura anch´esso come una camera di riflessione piuttosto che di rappresentanza territoriale.17
Come in Spagna, anche in Belgio, solo in minima parte i senatori sono espressione delle Comunità, infatti, in base agli articoli 67, 68 e 72 della Costituzione, su 71 membri solo 21 sono eletti dalle Comunità (10 della Comunità fiamminga, 10 da quella francese e 1 da quella tedesca).18 La riforma del 1994, che formalmente ha trasformato il Belgio in uno Stato federale,19 ha ridimensionato il ruolo della seconda camera, stabilendo una netta prevalenza della Camera dei rappresentanti.20 Inoltre, contribuisce all´idea della debolezza del Senato anche il fatto che rimangono, almeno formalmente, escluse le Regioni, che rappresentano un livello territoriale che si affianca alle Comunità.
Emergono perplessità anche rispetto l´effettivo ruolo del Bundesrat austriaco, i cui componenti sono eletti dalle assemblee legislative dei Länder ma hanno il divieto di mandato imperativo e non possono partecipare alle sedute delle Diete. Questo aspetto sembra condizionare la loro funzione di rappresentanti degli Stati membri, in quanto i membri del Consiglio federale sarebbero più sensibili alle direttive del partito di appartenenza piuttosto che agli interessi dello Stato di provenienza.21
In sintesi, nonostante la storica tradizione che pone la seconda camera come elemento irrinunciabile per la caratterizzazione di uno Stato composto, è indubbio che da più parti se ne appunta l´insufficienza o l´inadeguatezza rispetto alle dinamiche relative al decentramento.22 In particolare, viene messo in rilievo come il Senato non sia più identificabile come una Camera degli Stati, tradendo, quindi, la sua ratio ispiratrice.
Tale considerazione non può, però, estendersi al Senato della repubblica federale tedesca, il quale sembra svolgere il suo ruolo di rappresentante dei Lander in maniera efficace. Tuttavia, questo è da ascrivere al fatto che il Bundesrat è formato dai vertici degli esecutivi delle autonomie regionali, pertanto si distacca in maniera significativa dalle seconde camere esistenti nei paesi federali o regionali e si caratterizza più come un organo di alta amministrazione che legislativo. Infatti, la sua composizione lo rende assai simile ai meccanismi di relazioni intergovernative che verranno analizzati di seguito.23
III. Le relazioni intergovernative
Le relazioni fra centro e periferia si snoderebbero, quindi, attraverso processi di partecipazione maggiormente legati all´« interstate federalism» (un meccanismo di rappresentanza degli interessi subnazionali attraverso la contrattazione intergovernativa) più che all´« intrastate federalism» (fenomeno per il quale gli interessi regionali trovano spazio e visibilità attraverso le istituzioni centrali, quale potrebbe essere la Camera Alta).24
Vari elementi concorrono, quindi, alla ricerca di altre modalità di partecipazione delle comunità territoriali alle attività dello Stato, tali da superare le difficoltà emergenti nella seconda Camera. Questo contribuisce a spiegare la progressiva affermazione negli ordinamenti composti delle relazioni intergovernative, le quali possono essere sintetizzate come l´insieme di rapporti fra esponenti dell´apparato esecutivo sia del livello centrale che periferico.25
La preferenza accordata a questo tipo di partecipazione scaturisce dal fatto che l´evoluzione degli Stati composti ha dimostrato come la partecipazione al procedimento legislativo delle entità territoriali non sembra essere più sufficiente alla salvaguardia della loro autonomia e delle loro competenze.
Dopo aver registrato questa tendenza, è necessario procedere a una classificazione delle relazioni intergovernative. In primo luogo, è necessario precisare che queste ultime possono essere di tipo orizzontale o verticale: nel primo caso significa che i rapporti coinvolgono solo gli esponenti delle autonomie territoriali, mentre, nel secondo, anche il livello statale svolge un proprio ruolo. In secondo luogo, la loro manifestazione può dare luogo a forme di cooperazione istituzionale e cioè alla formazione di organi ovvero a forme di cooperazione funzionale, cioè al perfezionamento di atti e procedure.
L´esperienza comparata offre molteplici esempi dell´affermazione delle relazioni intergovernative come veicolo di cooperazione fra i livelli di governo, sia del primo che del secondo tipo.
1. La cooperazione orizzontale e verticale
Per quanto riguarda la distinzione fra cooperazione verticale e orizzontale, vediamo che, generalmente gli Stati conoscono entrambi i tipi di relazioni intergovernative (anche se con esiti differenziati), a seconda degli ambiti materiali in cui agiscono e questo accade in Belgio, Germania, Austria e Spagna.
In relazione alla cooperazione verticale, in Belgio abbiamo i cosiddetti accordi di cooperazione, conclusi fra gli esponenti del governo federale, regionali e comunitari, finalizzati alla gestione e alla realizzazione di servizi comuni, che, in molti casi devono essere stipulati obbligatoriamente. Per quanto concerne, invece, la cooperazione orizzontale, si registra l´esistenza dei Commissioni di cooperazione, che hanno la funzione di promuovere la cultura delle tre Comunità linguistiche; tuttavia, questi organi collegiali non sono stati in grado di produrre dei risultati significativi.26
Al contrario del Belgio, in Germania sembra più proficua la cooperazione orizzontale piuttosto che quella verticale. La prima, infatti, si compone di conferenze ovvero di istituzioni, le quali svolgono le loro attività in ambiti particolarmente significativi. Fra le Conferenze spicca quella dei Ministri-Presidenti dei Länder, con compiti di direzione politica e di raccordo dell´intero sistema delle autonomie, che potrebbe essere assimilabile alla nostra Conferenza dei Presidenti di Regioni. Le istituzioni, invece, possono essere costituite da soggetti appartenenti a un solo Länder ma con il compito di svolgere funzioni comuni a più Stati o da un egual numero di rappresentanti dei singoli Länder. Più flebile, invece, la cooperazione di tipo verticale che si estrinseca soltanto negli inviati plenipotenziari dei Länder presso il Bund e nella presenza di alcune Conferenze in determinati settori, quali agricoltura e pianificazione territoriale.27 La debolezza della cooperazione verticale in Germania è in parte spiegabile con il fatto che il Bundesrat è costituito dai rappresentanti dei vertici degli esecutivi delle singole autonomie territoriali, pertanto, per quanto riguarda la sua composizione, già di per sé si configurerebbe un organismo tipico delle relazioni intergovernative, mentre, dal punto di vista funzionale, costituisce il secondo ramo del parlamento, pertanto garantisce una partecipazione assolutamente qualificata delle articolazioni territoriali.28
Peculiare, invece, l´esperienza austriaca in cui, oltre a prevedere accordi tra esecutivi di tipo verticale, esistono degli organismi della cooperazione orizzontale, quali la Conferenza dei Capitani, che coinvolge i presidenti dei Länder, la Conferenza dei direttori amministrativi dei Länder, e l´ufficio di coordinamento dei Länder, che, in teoria, pur essendo riservati a esponenti delle autonomie territoriali, data la loro importanza, molto spesso sono integrati da ministri federali competenti per materia o dal cancelliere federale.29
Assolutamente in controtendenza è la Spagna, in cui, a livello empirico, si registra la prevalenza, se non al quasi esclusività dei meccanismi di cooperazione di tipo verticale, quali le Conferenze settoriali e i convenios (accordi) (v. infra). Tuttavia, mentre questi strumenti di cooperazione hanno un fondamento di tipo legislativo, la possibilità di stipulare accordi di cooperazione orizzontale sarebbe prevista dalla stessa Costituzione. Infatti, l´articolo 145.2 del testo costituzionale dispone che
Los Estatutos podrán prever los supuestos, requisitos y términos en que las Comunidades Autónomas podrán celebrar convenios entre sí para la gestión y prestación de servicios propios de las mismas, así como el carácter y efectos de la correspondiente comunicación a las Cortes Generales. En los demás supuestos, los acuerdos de cooperación entre las Comunidades Autónomas necesitarán la autorización de las Cortes Generales.30
La Costituzione, quindi, fa riferimento a due tipi di accordi, quelli finalizzati alla gestione e ai servizi coinvolgenti più Comunità autonome e quelli riguardanti tutti gli altri ambiti. I primi dovranno essere comunicati al Parlamento, mentre i secondi dovranno essere autorizzati dallo stesso. I dati evidenziano come numericamente siano degni di nota solo i primi, che, pure, in teoria avrebbero un ambito d´azione più circoscritto, mentre i secondi siano quasi inesistenti. Le ragioni dell´assenza degli accordi di cooperazione generali sono da scriversi probabilmente al fatto che devono essere previamente autorizzati dal Parlamento. L´esame dei progetti di accordo ha inizio dal Senato — in quanto Camera di rappresentanza territoriale— e la fase referente è svolta dalla Commissione generale del Senato, la quale può esprimere una proposta di diniego o di autorizzazione semplice o condizionata. Siccome il procedimento attraverso il quale la Commissione esprime la sua posizione prevede che possano intervenire i rappresentanti delle Comunità autonome proponenti l´accordo e delle altre Comunità interessate, i presidenti dei gruppi parlamentari, i senatori e i rappresentanti del governo centrale31 (se ne fanno richiesta), è evidente che la Commissione diventa un centro di mediazione politica, che, però, può essere anche soverchiante nei confronti delle Comunità autonome. Inoltre, c´è il rischio che prevalgano posizioni dettate più dall´opportunità politica che dalla legittimità e dall´efficacia degli accordi.32 Non a caso il governo navarro, presentatore nel 1996 di un accordo di cooperazione con il País Vasco decise di ritirarsi unilateralmente dal progetto, lamentando eccessive interferenze e pressioni da parte del Parlamento e dal governo nazionale.33
In conclusione, a prescindere dal fatto se la cooperazione sia di tipo verticale o orizzontale, emerge che è determinante il ruolo dello Stato, che, se anche formalmente non è una parte contraente, comunque, talvolta svolge un ruolo cruciale. Esemplificativo in questo senso è il caso spagnolo, in cui lo Stato centrale è escluso dalle procedure negoziali degli accordi di cooperazione, tuttavia, ne condiziona il perfezionamento ovvero l´esperienza austriaca dove la Conferenza dei capitani talvolta svolge la sua attività in composizione integrata da esponenti del governo centrale. Questa ricostruzione tende quindi a concordare con quanti ritengono che la supremazia dello Stato centrale sia un dato ineliminabile nei rapporti fra questo e le autonomie territoriali, anche quando siamo in presenza di relazioni intergovernative di tipo orizzontale.34 Infatti, è innegabile che anche laddove vi siano dei rapporti che si estrinsecano, almeno formalmente, su un piano di parità lo Stato centrale svolge un ruolo di forte orientamento, anche per la sua naturale funzione di salvaguardia del principio unitario dello Stato.35
Non sembrano probanti infatti, le parole della Corte costituzionale a proposito della Conferenza permanente Stato-Regioni-Province autonome, che ha affermato, nella sentenza n. 116 del 1994, che la
Conferenza lungi dall´essere un organo appartenente all´apparato statale o a quello delle Regioni (e delle Province autonome) e deputato a manifestare gli orientamenti dell´uno e/o delle altre, è la sede privilegiata del confronto e della negoziazione politica fra lo Stato e le Regioni (e Province autonome) al fine di favorire il raccordo e la collaborazione fra l´uno e le altre.
Secondo, la pronuncia dell´organo di giustizia, la Conferenza sarebbe una sorta di "terzo livello" fra Stato e Regioni, un´istituzione operante nell´ambito della comunità nazionale come strumento per l´attuazione della cooperazione fra lo Stato e le Regioni (e le Province autonome).
Nonostante ciò, in Italia, la Conferenza si caratterizza come organo della Presidenza del Consiglio. Infatti, nonostante — come detto— la Conferenza voglia supplire alla carenza di canali partecipativi delle Regioni alle attività statali, tuttavia, è innegabile che sia un organo del Governo, almeno per un triplice ordine di motivi: perché lì è incardinato, perché la Presidenza e la sua convocazione spettano al presidente del Consiglio e, infine, perché vi dipende anche la Segreteria. Effettivamente così delineata la Conferenza non rappresenta tanto una "voce" delle Regioni nello Stato centrale, quanto, invece, un organo in cui si verifica che il punto di vista regionale sia compatibile con quello statale.36
2. La cooperazione istituzionale e funzionale
Come già abbiamo detto, la cooperazione fra i livelli istituzionali può dar luogo all´istituzione di organi (cooperazione istituzionale) o la realizzazione di atti o procedure (cooperazione funzionale). Anche in questo caso, gli ordinamenti composti non hanno compiuto scelte che escludono un tipo di relazioni intergovernative rispetto all´altro ma conoscono entrambi le modalità.
In Austria, la Costituzione ha previsto solo meccanismi di cooperazione funzionale; la riforma costituzionale del 1974 ha introdotto l´articolo 15 a B-Vg, che prevede i cosiddetti accordi (öffentlichrechtliche Verträge), che possono essere conclusi sia tra il Bund e i Länder sia fra questi ultimi. Questi atti, secondo il testo costituzionale, sono da considerarsi delle intese, che poi devono essere comunque approvate dalle assemblee rappresentative, perché possano essere efficaci. Il testo dell´accordo funge, inoltre, da norma interposta per il controllo di legittimità della legge stessa.
Gli accordi hanno svolto un ruolo particolarmente significativo nella vita di relazione fra Stato centrale e autonomie, in quanto hanno consentito che attività comuni potessero essere svolte nella maniera più idonea ed efficace e hanno costituito un canale di rappresentanza effettivo dei Länder.37 Tuttavia, come già rilevato, a questi strumenti se ne sono affiancati altri di tipo istituzionale, come le Conferenze (Conferenza dei Capitani Provinciali, Conferenza dei Direttori Amministrativi, Ufficio di coordinamento dei Länder). Queste si configurano come degli organismi informali, privi di qualsiasi fondamento legislativo ma che, forse, proprio in base a questa caratteristica riescono a svolgere in primo luogo, un´efficace funzione di raccordo fra i Länder e poi, a configurarsi come unico interlocutore del sistema delle autonomie territoriali nei confronti dello Stato centrale. I loro incontri possono essere definiti "informali", previsti e definiti di volta in volta, sia qualora coinvolgano esponenti politici, sia rappresentanti burocratici, senza che vi sia una sede predeterminata o un regolamento di funzionamento previamente adottato ovvero la definizione delle modalità di votazione all´interno dell´organismo ovvero forme specifiche di pubblicità e di informazione della propria attività.
Analogamente, il sistema belga spicca per la sua propensione per la cooperazione funzionale; infatti, la legge speciale 8 agosto 1980 prevede la conclusione di accordi di cooperazione sia obbligatori che facoltativi, a seconda delle materie coinvolte. Inoltre, come in Austria, questi accordi — qualora comportino degli obblighi per i pubblici poteri o per i cittadini— devono essere ratificati con un atto avente forza di legge, affinché possano dispiegare i loro effetti. Tuttavia, preme rilevare che le assemblee legislative (sia statali, che delle Comunità che delle Regioni) non possono emendare unilateralmente l´accordo; infatti, è necessaria una successiva negoziazione da parte degli esecutivi per apportare modifiche allo stesso. Infine, le controversie che possono sorgere sulla loro interpretazione sono demandati a giurisdizioni speciali, la cui istituzione è disciplinata dai singoli accordi. Questi giudici sono competenti a verificare il rispetto dell´accordo da parte della normativa di recepimento o applicativa e quest´ultima può essere annullata, qualora sia in contrasto con l´accordo.38 La cooperazione funzionale in Belgio riveste, quindi, una significativa importanza ed è sicuramente preponderante rispetto a quella istituzionale, che, invece, si presenta con profili più incerti. Infatti, le Commissioni di Cooperazione (v. supra), pur essendo previste da legge,39 non sono stato in grado di essere pregnanti nelle relazioni fra le Comunità, adottando a stento il proprio regolamento interno.40
E´ diverso, forse, il caso del Comitato di concertazione, istituito con la legge di riforma istituzionale del 9 agosto del 1980. Questo organo si compone di un egual numero di rappresentanti del governo federale e dei governi delle Comunità e delle Regioni e ha il compito di prevenire i conflitti di competenza che possono sorgere in merito all´approvazione di atti aventi forza di legge dello Stato, delle Comunità e delle Regioni. Nell´ambito di questa funzione, il Comitato deve prendere le sue decisioni all´unanimità e, pertanto, ogni componente dispone del diritto di veto; qualora il consenso unanime non venga raggiunto, la proposta che ha richiesto la convocazione del Comitato entra, comunque, in vigore. L´intervento del Comitato di mediazione è, quindi, precedente alla entrata in vigore di un atto potenzialmente lesivo delle competenze dei singoli livelli istituzionali, anche se le sue decisioni sono di natura politica e non giuridica, infatti, non vincolano i destinatari, i quali possono sempre decidere di non accogliere le indicazioni del Comitato.41 In base a questa sintetica descrizione, sembra, però condivisibile la posizione di chi non annovera questo organo fra gli strumenti di cooperazione, sottolineando il fatto che
lo Stato e le diverse entità territoriali, infatti, non vi associano per sviluppare iniziative comuni e per operare su un piano di concertazione e di comune collaborazione, bensì si vedono costretti dalla legge a consultare questo organo per risolvere conflitti di tipo politico onde evitare di giungere alla risoluzione degli stessi in sede giurisdizionale.42
Possono essere fatte analoghe considerazioni per le Commissioni bilaterali di Cooperazione fra Stato e Comunità autonome in Spagna. In questo ordinamento, la legge organica n. 1 del 2000 del Tribunale Costituzionale ha stabilito che in caso di controversia fra Stato e Comunità autonome su una legge o un atto avente forza di legge , il termine entro il quale presentare il ricorso da tre mesi si estende a nove, qualora fra le parti sia stata attivata una procedura di conciliazione davanti alla Commissione bilaterale di cooperazione. Come il Comitato di concertazione belga, i componenti della Commissione bilaterale sono i rappresentati degli esecutivi dei rispettivi livelli istituzionali e come l´organismo belga anche quello spagnolo ha il compito di porre in essere una procedura conciliativa fra le parti, al fine di evitare il contenzioso di fronte al Tribunale Costituzionale.43 Tuttavia, anche nel caso spagnolo come in quello belga, se la Commissione bilaterale di cooperazione non riesce a trovare una soluzione soddisfacente per le parti, resta sempre possibile l´apertura di un processo davanti all´organo di giustizia costituzionale.44
L´introduzione nell´ordinamento spagnolo delle Commissioni bilaterali di cooperazione si spiega con il tentativo di ridurre il numero dei conflitti di fronte al Tribunale Costituzionale, tuttavia, questi organismi rappresentano più fori di dibattito politico piuttosto che tavoli di cooperazione finalizzati allo svolgimento di possibili funzioni e attività comuni nel modo più adeguato ed efficiente. In Spagna, appartengono più propriamente all´ambito degli strumenti della cooperazione istituzionale le Conferenze settoriali e della cooperazione funzionale i convenios.45
Per quanto concerne le prime, l´articolo 5 della legge n. 30 del 1992 di recepimento degli Accordi fra lo Stato e le Comunità autonome le definisce come luoghi di incontro fra il Governo centrale e i rappresentanti di tutti i governi regionali al fine di «assicurare in ogni momento la necessaria coerenza dell´attuazione dei poteri pubblici e l´imprescindibile coordinamento». Questi luoghi favorirebbero lo scambio di punti di vista, l´esame in comune dei problemi di ciascun settore e dei mezzi progettati per affrontarli e risolverli.46
Le Conferenze settoriali sono istituite dal Governo centrale e le loro funzioni sono limitate a quei profili materiali che sono stati individuati previamente dal Ministro e che, inoltre, appartengono ad ambiti competenziali concorrenti o ripartiti fra Stato e Comunità autonome, escludendo, quindi, materie che sono di competenza solo statale. Questo aspetto accentua il ruolo delle Conferenze come strumenti di coordinamento generale e favorisce l´omogeneizzazione degli interventi sul territorio.
Ogni conferenza è istituita a seconda di un ambito materiale ben preciso, deve stabilire gli strumenti adeguati per determinare gli obiettivi comuni ed enucleare i mezzi e i programmi operativi e di tipo finanziario che permettano la loro realizzazione nel rispetto dell´autonomia di ciascuna delle parti. La legge n. 30 del 1992 impone alcune procedure di formalizzazione degli accordi sorti all´interno delle Conferenze, imponendo la firma del Ministro o Ministri competenti e dei rappresentanti degli organi di governo delle Comunità. Le procedure di decisione delle Conferenze settoriali sono state individuate dagli Accordi fra lo Stato e le Comunità autonome nella regola dell´unanimità, aggiungendo, tuttavia, la possibilità di procedere anche attraverso il principio della maggioranza.
Le modalità attraverso le quali raggiungere un accordo rappresenta un profilo di indubbia delicatezza. Il criterio dell´unanimità salvaguarda il sistema, tuttavia, sembra poco realizzabile la possibilità di coagulare un consenso di livello significativo fra lo Stato e diciassette Comunità autonome. E´, invece, percorribile la soluzione per la quale, in caso di maggioranza, l´accordo sarebbe vincolante solo per le Comunità che lo abbiano sottoscritto (in un sistema simile a quello della stipula da parte degli Stati dei trattati internazionali).47 In sostanza, le Conferenze settoriali sono assise di dibattito, in cui si cerca di trovare una soluzione, senza necessariamente trovare una consacrazione formale in una votazione, ma tentando di addivenire a un accordo politico di indirizzo. Quest´ultimo dovrebbe aiutare a superare impasse e difficoltà e vincolerebbe politicamente solo le Comunità autonome che hanno espresso parere favorevole. Inoltre, laddove sia necessario un intervento legislativo della assemblee regionali, questo accordo avrà solo una funzione di impulso, dovendo sottostare successivamente alla ratifica legislativa delle Comunità o da parte dello Stato.
Per quanto concerne la cooperazione funzionale, l´ordinamento spagnolo prevede la stipula di convenios che possono essere conclusi dallo Stato con una o più Comunità autonome48 coinvolgere anche una o alcune Comunità autonome. La ratio ispiratrice dei convenios è opposta a quella che governa le Conferenze settoriali. Infatti, queste ultime si configurano come degli organismi multilaterali, a cui partecipano tutte le Comunità Autonome su un principio di eguaglianza. La realizzazione dei convenios, è, invece, la consacrazione del principio del bilateralismo,49 per il quale ogni Comunità Autonoma negozia direttamente con lo Stato centrale, senza preoccuparsi di trovare una posizione comune con le altre omologhe. Questi atti sono firmati dai Ministri e, siccome, molto spesso — anche se sono stipulati con ciascuna delle Comunità Autonoma finisco— no per vertere sulle stesse materie, si è posto il problema di trovare una certa omogeneità di trattamento. In questa ottica, si colloca l´accordo del 2 marzo del 1990, approvato dal Consiglio dei Ministri, in cui vengono stabiliti determinati requisiti di questi convenios: indicazione dell´autorità che li sottoscrive; titolo o titoli di competenza in base alle quali si attiva ciascuna delle parti; obiettivi del convenio e indicazione delle risorse economico-finanziare poste in essere; creazione di una commissione; indicazione del periodo di vigenza.
Oramai, anche l´ordinamento britannico nel 1998, ha dato avvio a un processo di decentramento di competenze dal Parlamento centrale a istituzioni rappresentative delle Regioni, attraverso lo Scotland Act e il Government of Wales Act.50
Il sistema anglosassone, forse, a causa del suo regionalismo fortemente asimmetrico, in base al quale alla Scozia è stata riconosciuta la potestà legislativa in alcune materie, mentre al Galles solo quella amministrativa, finora ha conosciuto in maniera significativa solo strumenti di cooperazione verticale. Il processo di decentramento nel Regno Unito, però, si comprende non solo attraverso l´esame del dato legislativo ma anche l´analisi di altri documenti, soprattutto in relazione al tema che stiamo trattando, e cioè la strutturazione dei rapporti fra i diversi livelli istituzionali. La normativa sul punto, infatti, è stata integrata da un accordo fra il governo britannico e quelli delle comunità territoriali, denominato Memorandum of Understanding and Supplementary Agreements51 al fine proprio di esplicitare "the principles which underlie relations" fra i diversi livelli territoriali. Ed è proprio questo atto che costituisce il momento applicativo e attuativo delle fonti legislative relativi ai processi di decentramento, nonostante il Memorandum non abbia forza giuridica. Infatti, espressamente vi si stabilisce che lo stesso e gli accordi posti in essere sulla sua base non sono vincolanti, il Memorandum rappresenta, quindi, un semplice strumento di lavoro per i soggetti coinvolti ma i suoi contenuti non sono obbligatori.
Tuttavia, vale la pena sottolineare come le clausole contenute nell´accordo, seppur non cogenti, sono state osservate e rispettate, stante la consapevolezza che gli strumenti indicati fossero in grado di rendere più fluidi il funzionamento e l´applicazione dei processi di decentramento. Questo conferma un dato ricorrente dell´ordinamento britannico e cioè il ruolo centrale svolto dalle fonti cosiddette di soft law, che integrano le disposizioni precettive di legge. Le indicazioni del Memorandum, infatti, sono " binding in honour only" e sono utilizzate come " working documents", tuttavia, fino a questo momento sono state osservate e rispettate. La vincolatività del Memorandum dipende quindi dalla volontà delle parti di rispettarlo in un´ottica che in Italiaf può essere assimilata all´osservanza del principio della leale collaborazione.
L´ordinamento britannico ha, quindi, provveduto a introdurre questo principio, nel momento in cui ha affrontato un processo di regionalizzazione del territorio, ritenendo necessario al fine di rendere funzionale il sistema. Lo stesso Memorandum specifica al punto 7 che "the administrations recognise the importance of co-operation across a range of areas. They also recognise that it may be appropriate for them to undertake activities on each other´s behalf, which may be covered in agency arrangements or other agreements".
Più nello specifico, per quanto concerne i rapporti fra i diversi livelli istituzionali, il Memorandum prevede l´istituzione di un Joint Ministerial Committee e la realizzazione di concordats.
Il primo, in base a quanto indicato dal punto 22 del Memorandum, si riunisce qualora sorga una controversia fra il governo centrale e quello regionale, che non è stato possibile risolvere o attraverso contatti bilaterali o i buoni uffici dei segretari territoriali di Stato.52 In sostanza, il Comitato si configura come un foro competente a conoscere tutte le questioni che possono sorgere relativamente alle materie conferite alle regioni e non e soprattutto i profili di tangenza e sovrapponibilità fra queste. Inoltre, qualora le amministrazioni lo concordino, nell´organo collegiale è possibile confrontare le discipline realizzate delle materie conferite alle Regioni nei diversi territori. Infine, il Comitato può essere la sede in cui mettere a punto meccanismi di coordinamento fra lo Stato centrale e le autonomie territoriali.
Tuttavia, il Joint Ministerial Committee non rappresenta l´unico meccanismo di relazioni intergovernative, infatti, sempre il Memorandum espressamente indica che, al fine di attuare il processo devolutivo, dovranno essere stipulati almeno altri quattro accordi. Questi ultimi definiti concordats— sono strumentali a un´applicazione uniforme del diritto in alcuni ambiti materiali, che il documento individua nei rapporti con l´Unione Europea, nell´assistenza finanziaria al settore industriale, nelle relazioni internazionali che possono incidere sulle competenze delle comunità territoriali e nelle rilevazioni statistiche.53
IV. Conclusioni
E´ evidente che i meccanismi di cooperazione attraverso le relazioni intergovernative rappresentano un fatto consolidato negli ordinamenti composti. La loro prevalenza, però, non significa che la loro introduzione sia immune da critiche.
1. Le ombre...
Le ragioni dell´affermazione delle relazioni intergovernative —come già è stato sottolineato— derivano dalla necessità di offrire alle autonomie territoriali un luogo di partecipazione alla formazione della volontà dello Stato centrale. Tale esigenza è stata percepita come pressante a causa dello sviluppo del decentramento in molti ordinamenti,54 tuttavia, talvolta non è stata sufficientemente significativa da produrre una riforma costituzionale che introducesse o riformasse una seconda camera in senso territoriale e che, quindi, ponesse le autonomie territoriali nel cuore del procedimento legislativo nazionale. In assenza di una vera e propria camera di rappresentanza territoriale, allora si è provveduto a istituire strumenti di cooperazione multilaterale come la Conferenza permanente Stato-Regioni-Province autonome in Italia o le Conferenze settoriali in Spagna, che, nonostante la loro rilevanza, non possono essere considerate idonei sostituti di un´assemblea rappresentativa. Ciò in virtù anche del fatto la compresenza dei rappresentanti dello Stato e delle autonomie territoriali in unico organismo è anomala e questo profilo accredita ancora di più l´ipotesi che le Conferenze non possano essere un adeguato surrogato del Senato, in quanto in quest´ultimo non compare la componente statale.
Permane, comunque, il fatto che l´assenza di una camera territoriale depaupera l´ordinamento di "una importante funzione di coesione dell´insieme federale".55 Infatti, il coinvolgimento delle entità territoriali nelle funzioni di indirizzo politico e, quindi, in definitiva nell´elaborazione delle grandi scelte della politica nazionale rafforza l´idem sentire delle popolazioni e, meglio consente di trovare un punto di equilibrio fra l´unità mantenuta nella pluralità, fra l´organicità e il frazionamento, rinsaldando le istanze unitarie di recente, e in più parti del mondo, sottoposte a tensioni.
Queste affermazioni non sembrano perdere di veridicità, nonostante, in molti ordinamenti decentrati, il ruolo del Senato come Camera rappresentativa delle autonomie sembra mostrare degli elementi di debolezza. Tuttavia, è da ritenersi che la rinunzia dell´organo rappresentativo — a favore di sistemi di relazione intergovernativa— non conduce necessariamente a una maggiore fluidità dei rapporti fra Stato centrale e comunità territoriali e soprattutto, priverebbe queste ultime di una copertura garantistica.
Infatti, possono nascere delle perplessità sulla possibilità che i diritti delle autonomie siano efficacemente tutelati dagli esponenti dell´apparato esecutivo o dalle burocrazie. Infatti, il circuito decisionale di esclusivo appannaggio della componente governativa non è immune da critiche, per quanto riguarda il supposto " deficit democrático" che questo presenterebbe. Infatti, lo spostamento del baricentro dagli organi legislativi democraticamente eletti a quelli esecutivi prefigurerebbe una riduzione del tasso di democraticità del sistema, riducendo il ruolo delle assemblee legislative. Ora, senza voler schierarsi a favore o contro questa tesi, preme sottolineare come le relazioni intergovernative si configurino, semmai, come un effetto della prevalenza degli organi esecutivi nell´ordinamento piuttosto che una causa del fenomeno stesso. Pertanto, sarebbe necessario ripensare i rapporti fra il potere Legislativo ed Esecutivo in generale, piuttosto che appuntare delle critiche —sotto questo profilo— al sistema delle relazioni intergovernative che rappresenta soltanto una manifestazione dell´alterazione di questa relazione.
Piuttosto, al fine di superare le critiche ora esposte, parrebbe più proficuo modificare alcuni profili relativi alle modalità di attuazione delle relazioni intergovernative coinvolgendo in maniera più significativa gli organi rappresentativi e operando un processo di trasparenza dell´attività dell´organismo collegiale,
Per quanto riguarda il primo fattore, la questione concerne i rapporti fra gli esecutivi delle autonomie territoriali e le rispettive assemblee, i quali molto spesso sono effettivamente esclusi dal circuito decisionale. Per questo motivo, sarebbe auspicabile che si svolgesse nelle assemblee rappresentative decentrate una discussione preventiva sugli argomenti posti all´ordine del giorno, in modo che l´organo elettivo fosse in grado di essere messo a conoscenza delle questioni affrontate e così divenisse idoneo a porre in essere un potere di direttiva nei confronti degli esecutivi, nella cosiddetta fase ascendente. Per quanto riguarda, invece, il secondo fattore e cioè l´assenza di trasparenza, si potrebbe immaginare di conferire una congrua pubblicità degli esiti delle sedute, di cui in genere esiste solo un verbale succinto e non sono esplicitati i voti espressi, in modo da ridurre le critiche relative al tasso di democraticità delle relazioni intergovernative. L´opacità delle deliberazioni, conseguentemente, fa diminuire il tasso di partecipazione dei cittadini e dei partiti alla gestione della res publica. Tuttavia, siffatta carenza può trovare una soluzione senza intaccare i presupposti del sistema delle intese intergovernative, infatti, sarebbe sufficiente che gli atti scaturenti dalle conferenze fossero resi pubblici tramite pubblicazione su organi ufficiali ovvero resoconti disponibili su supporti cartacei o informatici.
Un ulteriore elemento di riflessione del sistema delle relazioni intergovernative è rappresentato dal loro fondamento che può essere di tipo costituzionale (Austria per gli accordi, Spagna per gli accordi fra Comunità autonome) o legislativo (Belgio, Spagna per le Conferenze settoriali). In questo secondo caso, i meccanismi di cooperazione sono affidati a una scelta unilaterale dello Stato e, perciò, revocabile in qualsiasi momento, almeno dal punto di vista formale (più difficile dal punto di vista politico). Ad esempio, in Italia, la Conferenza permanente Stato-Regioni-Province autonome è disciplinata dal decreto legislativo n. 281 del 1997 e la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 408 del 1998 ha affermato che non si tratta di un organo costituzionalmente obbligatorio, ed ha parlato di scelta non costituzionalmente vincolante.
2. ...e le luci del sistema di cooperazione attraverso le relazioni intergovernative
A questo punto, è corretto anche individuare le luci relative al sistema delle relazioni intergovernative.
L´esistenza di organismi intergovernativi in uno Stato composto rappresenta un elemento di particolare rilevanza e si inserisce in una tendenza che molti ordinamenti sembrano accogliere.56 Ciò sembra rafforzare complessivamente il ruolo delle comunità territoriali rispetto allo Stato, in funzione riequilibratrice rispetto alle tendenze centripete che, in alcune fasi storiche, sembrano prevalere. Tanto più che — come più volte detto— alcuni ordinamenti (Italia, Regno Unito) sono sprovvisti di una assemblea di rappresentanza e la presenza di strumenti di cooperazione istituzionale suppliscono, in qualche modo a questa lacuna, non rappresentando, nel contempo, uno strumento di partecipazione alternativo o escludente la seconda camera territoriale.
Un secondo fattore positivo è costituito dal fatto che il ruolo significativo svolto dagli organi esecutivi garantisce la preparazione dei componenti e le decisioni dovrebbero essere — in via di principio— consapevolmente operate, soprattutto, quando si configurano come scelte tecniche.
Fra i profili positivi, inoltre, è da registrare l´immissione dei meccanismi delle relazioni intergovernative nel procedimento di formazione degli atti normativi, la cui valenza, però, si differenzia nelle varie esperienze. Ad esempio, in Italia, le Regioni hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale ritenendo che la manifestazione del dissenso regionale — espresso in Conferenza Stato-Regioni non accolto dagli organi statali— potesse essere causa di annullamento di un atto normativo. Una risposta coerente a questa impostazione da parte dell´organo di giustizia costituzionale avrebbe proiettato la Conferenza fuori da quella zona di "limbo" in cui si è sempre trovata e le conferirebbe un ruolo non più meramente consultivo ma di cogestione dei processi che investono le autonomie territoriali.
Tuttavia, questo orientamento non è riuscito ad attecchire, anzi è stato più volte respinto. Infatti, la Corte Costituzionale, anche recentemente, ha negato la vincolatività delle posizioni espresse in Conferenza. Nella sentenza n. 437 del 2001 alcune Regioni avevano ricorso davanti all´organo di giustizia costituzionale, lamentando che la legge finanziaria del 2000 aveva istituito un fondo con una dotazione finanziaria minore di quanto concordato in Conferenza e questo — a giudizio delle ricorrenti— rappresentava una violazione del principio di leale collaborazione. Tuttavia, la posizione delle Regioni, finalizzata a far acquisire valore precettivo agli accordi conclusi in Conferenza, non è stata accolta dalla Corte, la quale ha sostenuto
che mancano i presupposti per poter ritenere le determinazioni legislative impugnate condizionate, sotto il profilo procedurale o sotto quello sostanziale, ad accordi di tal genere. Le procedure di cooperazione o di concertazione possono infatti rilevare ai fini dello scrutinio di legittimità di atti legislativi, solo in quanto l´osservanza delle stesse sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione: il che nella specie non si verifica. Nè il principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni può esser dilatato fino a trarne condizionamenti, non altrimenti riconducibili alla Costituzione, rispetto alla formazione e al contenuto delle leggi.
Sostanzialmente, la Corte sostenne che il procedimento legislativo obbedisce alle disposizioni dell´articolo 72 della Costituzione e, quindi, qualsiasi altro onere procedurale non può essere imposto alle Camere.57
Sul punto emergono, però, altre tendenze a livello comparato: in Belgio, gli accordi fra Stato e livelli istituzionali territoriali rappresentano una fase necessaria nel procedimento di formazione degli atti con valore legislativo e il loro mutamento non può essere operato unilateralmente dalle assemblee rappresentative ma può avvenire solo con il consenso degli esecutivi che hanno concluso l´accordo, a seguito di un´ulteriore procedura negoziale. Sempre in questo senso si registra l´esperienza dell´ Austria, dove la Corte costituzionale utilizza gli accordi come parametro di legittimità delle leggi di recepimento degli stessi.
E´ altrettanto importante sottolineare il ruolo assunto dalle relazioni intergovernative per quanto concerne il fenomeno di integrazione comunitaria. Sono, infatti, soprattutto i processi di globalizzazione economica che si stanno producendo a livello mondiale che incidono sul riparto di competenze fra Stato centrale e autonomie territoriali, in quanto la tendenza crescente a dar vita ad organizzazioni internazionali in materie riservate alle entità substatali, può creare un movimento "attrattivo" verso il centro. Si può ad esempio notare che siffatta realtà sembra forzare i sistemi di riparto delle competenze così come sono stabiliti dalle Costituzioni. Ne è un esempio l´articolo 117, c. 1 del testo costituzionale sul rispetto degli obblighi internazionali e della normativa comunitaria, il quale sposta il baricentro dell´attenzione dalla titolarità delle competenze, sull´articolazione dei processi decisionali, diventando cruciale il modo in cui le comunità territoriali sono coinvolte nelle sedi decisionali in ambito sovranazionale.58
In questa prospettiva, alcuni ordinamenti — visto che il Trattato dell´Unione Europea lo prevede— hanno consentito ai rappresentanti delle autonomie territoriali di rappresentare lo Stato all´interno del Consiglio dei Ministri (Austria, Belgio, Germania e Italia59).60 Tuttavia, altri paesi hanno optato per altri meccanismi di rappresentanza dei livelli decentrati in ambito interno al fine della definizione della posizione dello Stato da portare in Consiglio, come la Spagna, dove la "voce" regionale è recepita dallo Stato nella Conferencia sectorial para los asuntos de la Unión Europea61 ovvero in Italia nella cosiddetta sessione comunitaria della Conferenza Stato-Regioni-Province autonome.62
* Professore in diritto pubblico comparato, Università di Siena.
Notas:
1 Volpi, M., "Stato federale e Stato regionale: due modelli a confronto", in Rolla, G. (cur.), La riforma delle autonomie regionali, Torino, Giappichelli, 1995, p. 47; Grodzins, M., The American System. A New View of Government in the United States, Chicago, Rand McNally, 1966; Bognetti, G., "Federalismo", Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino, 1991, VI; Patrono, M., Sistema dei «regulatory powers» e Corte Suprema federale, Milano, Giuffrè, 1974, pp. 123 e ss. Per l´esperienza italiana sul regionalismo cooperativo, v. per tutti Caretti, P., " I rapporti Stato-Regioni al centro del dibattito sulle autonomie: alcune riflessioni critiche", Quad. cost., 1985, pp. 175 e ss.; Carrozza, P., " Principio di collaborazione e sistema delle garanzie procedurali (la via italiana al regionalismo cooperativo)", Le Reg. , 1989, p. 485; Rimoli, F., " Il principio di cooperazione tra Stato e Regioni nella giurisprudenza della Corte costituzionale: riflessioni su una prospettiva", Dir. soc., 1988, pp. 363 e ss.
2 Tale ricostruzione effettivamente riguarda la storia di molti ordinamenti composti. Per tutti si veda: Volpi, M., op. cit., nota 1, pp. 46 e ss.; Vergottini, G. de, op. cit., nota 10, pp. 831 e ss. 2
3 Mistò, M., "Gli istituti di cooperazione tra Federazione e Länder in Germania", in Amm. (in corso di pubblicazione); Mezzetti, L., "L´«abbraccio fatale» del Bund: sistema federale e tendenza «centripeta» dei rapporti fra Stato centrale e Stati membri nell´esperienza tedesca", in Gambino, S. (cur.), Competenze e diritto. Confronti Europei (Spagna, Germania e Regno Unito) , Milano, Giuffrè, 1998, p. 703. 3
4 BverGe 1, 299, 315. 4
5 Carrillo, M. et al., Manual de jurisprudencia constitucional, Madrid, Civitas, 1990, pp. 651 e ss.; Lavilla Alsina, L., La lealtad constitucional en la Constitución 1978 veinte años después, Madrid, Congreso de los Diputados, 2001.
6 STC n. 64 del 1982; STC n. 95 del 1984; STC n. 96 del 1986; STC n. 213 del 1994; STC n. 102 del 1995; STC n. 112 del 1995; STC n. 67 del 1996. Jiménez Asensio, R., Las competencias autonómicas de ejecución de la legislación del Estado, Madrid, Civitas, 1993, pp. 231 e ss.; Pérez Calvo, A., "Hacia un concepto singular de la participación en el Estado autonómico", in Pérez Calvo, A. (cur.), La participación de las Comunidades Autónomas en las decisiones del Estado, Madrid, Instituto Navarro de Administración Pública, 1997, pp. 15 e ss.; Trujillo Fernández, G., " Sobre los fundamentos constitucionales de la participación de las Comunidades Autónomas en las estructuras centrales del Estado", ibidem, pp. 23 e ss., e sia consentito rinviare a Ceccherini, E., "Le relazioni tra Governo centrale e Governi territoriali nell´esperienza spagnola", Le Reg., 1999, pp. 893 e ss. 6
7 STC n. 209 del 1990; STC n. 158 del 1992. 7
8 Bilancia, P., "Verso un federalismo cooperativo", Problemi del federalismo, Milano, Giuffrè, 2001; Anzon, A., "«Leale collaborazione» tra Stato e Regioni, modalità applicative e controllo di costituzionalità", Giur. cost., 1998, pp. 3531 e ss.; Torchia, L., " Concorrenza fra Stato e Regioni dopo la riforma del Titolo V: dalla collaborazione unilaterale alla collaborazione paritaria", Le Reg., 2002, pp. 40 e ss. 8
9 Sul tema del potere sostitutivo, in generale, si rimanda a: Mainardis, C., "I poteri sostitutivi statali: una riforma costituzionale con (poche) luci e (molte) ombra", Le Reg., 2001, p. 1357; Veronesi, G., "Il regime dei poteri sostitutivi alla luce del nuovo art. 120, c. 2 Cost.", Ist. Fed., 23, 2002, p. 733; D´Atena, A., "Il principio unitario nel sistema dei rapporti tra Stato e Regioni", in Rolla, G. (cur.), La definizione del principio unitario, Torino, Giappichelli, 2003, pp. 160 ss.; Gianfrancesco, E., "Il potere sostitutivo", in Groppi, T. e Olivetti, M. (cur.), La Repubblica delle autonomie, Torino, Giappichelli, 2003, pp. 235 e ss. A livello comparato, Tamburrini, V., " Il potere sostitutivo in Germania, Spagna, Austria e Belgio", Amm. (in corso di pubblicazione). 9
10 La presenza di un Senato federale come condizione essenziale per la identificazione di uno Stato federale, è un elemento ormai consolidato in dottrina, v. Vergottini, G. de, "Stato federale", Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 831; Allegretti, U., " Per una camera `territoriale´: problemi e scelte", Quaderni dell´associazione di studi e ricerche parlamentari, 7, 1996, p. 75; Dehousse, R., "Le paradoxe de Madison: réflexions sur le rôle des chambres hautes dans les systèmes fédéraux", Rev. dr. publ., 106, 1990, p. 644; Le Fur, L., Etat fédéral et Conféderation d´états, Parigi, Marchall et Billard, 1896, pp. 586 e ss.; King, P., Federalism and Federation, Londra-Canberra, Croom Helm, 1982, pp. 74 e ss.; Malinverni, G., "Ipotesi di revisione costituzionale: la forma federale dello Stato", Dir. e soc., 1996, p. 54; Pizzetti, F., Federalismo, regionalismo e riforma dello Stato, Torino, Giappichelli, 1996, pp. 9 e ss. 10
11 Anzi sembra che l´esistenza della seconda camera come assemblea rappresentativa dei territori sia proprio un retaggio di ordinamenti di tipo confederale, v. Vergottini, G. de, op. cit., p. 846. 11
12 Mazères, A., "Les collectivités locales et la raprésentation", Rev. dr. pub., 106, 1995, p. 623; Rolla, G., "Il referendum sulla sovranità del Québec ed il futuro del Canada. Alcuni paradossi costituzionali", Giur. cost., 1996, p. 3273. 12
13 Siervo, U. de, "Alcune discutibili scelte in tema di bicameralismo e sistema delle fonti", in Caretti P. (cur.), La riforma della Costituzione nel progetto della bicamerale, Padova, Cedam, 1998, pp. 55 e ss.; Sicardi, S., "I lavori dei comitati", in Costanzo, P. et al. (cur.), La commissione bicamerale per le riforme costituzionali, Padova, Cedam, 1998, pp. 212 e ss.; Mangiameli, S. (cur.), Un senato delle autonomie per l´Italia federale, Napoli, Edizioni scientifiche, 2003. 13
14 I disegni di legge di riforma costituzionale non si esauriscono in quelli citati, per uno sguardo al dibattito più datato, si veda: Occhiocupo, N., La «Camera delle Regioni» , Milano, Giuffré, 1975; Pizzetti, F., "Riforme istituzionali e prospettive del bicameralismo in Italia: riflessioni e interrogativi", Quad. cost., 1984, pp. 250 e ss.; per quanto riguarda i disegni di leggi presentati dalle Regioni, si veda: Rolla, G., "Al termine della quinta legislatura regionale: progetti, propositi, inerzie", in Rolla, G. (cur.), La riforma delle autonomie regionali, cit., pp. 125 e ss.; Fusaro, C., "La redistribuzione territoriale del potere politico nel dibattito parlamentare dalla Commissione Bozzi alla Commissione D´Alema", in Gambino, S. (cur.), Stati nazionali e poteri locali, Rimini, Maggioli, 1998, pp. 493 e ss.; Rescigno, F., Disfunzioni e prospettive di riforma del bicameralismo italiano: la Camera delle Regioni, Milano, Giuffrè, 1995; Bifulco, R., "Il bilancino dell´orafo. Appunti per la riforma del Senato", in Chieffi, L. (cur.), Regioni e dinamiche di integrazione europea, Torino, Giappichelli, 2003, pp. 155 e ss. 14
15 L´annosa questione della riforma del Senato spagnolo ha molto affaticato la dottrina spagnola, rispetto al grande numero dei contributi segnaliamo, aa. vv., Ante el futuro del Senado, Barcelona, Tirant lo Blanch, 1996; Punset, R., El Senado y las Comunidades Autónomas, Madrid, Tecnos, 1987; id., "Razón e identidad del Senado", Rev. esp. der. const., 70, 2004, pp. 27 e ss.; Aja, E., El Senado autonomico, entre la reforma reglamentaria y la reforma constitucional, Barcelona, Tirant lo Blanch, 1993; Albertí Rovira, E., "Perspectivas de la reforma constitucional del Senado", in Pérez Calvo, A. (cur.), La participación de las Comunidades Autónomas en las decisiones del Estado, Madrid, Instituto Navarro de Administración Pública, 1997, pp. 171 e ss.; Fernández Segado, F., Reflexiones en torno a la reforma constitucional del Senado, ibidem, p. 196; Portero Molina, J. A., Reflexiones sobre algunas propuestas de reforma constitucional del Senado, ibidem, pp. 225 e ss.; Carrillo, M., "Considerazioni per una riforma del Senato in Spagna", in Groppi, T. (cur.), Principio di autonomia e forma dello Stato, Torino, Giappichelli, 1998, pp. 113 e ss.; García-Escudero Márquez, P., "La composición del futuro Senado. Opciones básicas y cuestiones conexas", Rev. fac. der. Univ. Complutense, 22, 1998; Goizueeta Vértiz, J. e Zelaia Garagarza, M., "Algunas consideraciones en torno a la composición y funciones del Senado: problemas suscitados y reformas propuestas", Rev. vasca adm. publ, 50, 1998, pp. 369 e ss. 15
16 Aja, E., "I rapporti tra lo Stato e le Comunità Autonome in Spagna", in Rolla, G. (cur.), La riforma delle autonomie regionali, cit., pp. 95 e ss.; id., "Las Comunidades Autónomas y la reforma del reglamento del Senado", Rev. vasca adm. publ., 35, 1993, pp. 11 e ss.; García Pechuan, M. "La reciente reforma reglamentaria del Senato", Rev. Cortes Gen., 31-33, 1994, pp. 87 e ss.; García-Escudero Márquez, P., "La Comisión General de las Comunidades Autónomas (reforma del reglamento del Senado) ", Rev. adm. publ., 133, 1994, pp. 485 e ss.; Leguina Villa, J., "La reforma del Senado y los hechos diferenciales", Rev. vasca adm. publ., 143, 1997, pp. 7 e ss.; Ripollés Serrano, M. R., "La reforma del reglamento del Senado en lo que atañe a la potenciación de su función territorial: un año después", in Pérez Calvo, A. (cur.), op. cit. ; Gambassi, V., La Commissione generale delle Comunità autonome nel Senato spagnolo, tesi di laurea discussa il 20.10.03. 16
17 Bertolino, C., "Il federalismo belga e la cooperazione tra lo Stato federale, Comunità e Regioni", Amm. (in corso di pubblicazione); Senelle, R., "Il Belgio federale", in D´Atena, A. (cur.), Delpérée, F. (cur.), L´ordinamento federale belga, Torino, Giappichelli, 1996, pp. 110 e ss.; Moschella, G., "Considerazioni minime sull´organizzazione dei poteri e la distribuzione delle competenze nell´originale esperienza belga", in Gambino, S. (cur.), op. cit., p. 769; Lucas Murillo de la Cueva, P., "El federalismo asimétrico en Bélgica", Rev. vasca adm. publ., 47, 1997, pp. 33 e ss. 17
18 Gli altri senatori sono: 20 eletti direttamente dalla popolazione (10 da quelli della Comunità fiamminga e 10 da quella francese), 10 sono cooptati da questi, di cui sei devono essere di lingua fiamminga e 4 di lingua francese); oltre a questi, vi sono dei senatori di diritto che sono i principi ereditari al compimento dei 18 anni. 18
19 L´affermazione trae origine dalla lettura dell´articolo 1o. della Costituzione: «Il Belgio è uno Stato federale che è formato da Comunità e Regioni». 19
20 Vandernacht, P. e Nieuwenhove, J. van, "La réforme des assemblées législatives à la lumière des révisions constitutionnelles de 1993", Rev. belge dr. const. , 1994, pp. 65 e ss., alla quale viene riservata il controllo politico sul governo e la concessione della fiducia. 20
21 Benedetto, E. di, " I rapporti tra Länder e Federazione in Austria: dalla conflittualità alla collaborazione", Amm. (in corso di pubblicazione); Bifulco, R., "Il federalismo austriaco al bivio: maggiore cooperazione o riforma della seconda camera?", in Gambino, S. (cur.), op. cit., pp. 742 e ss.; Schäffer, H., "The Austrian Bundesrat. Constitutional Law, Political Reality, Refom Ideas", in Karpen, U. (cur.), Role and Function of the Second Chamber, Baden-Baden, Nomos, 1999, pp. 36 e ss.; id., "Il federalismo austriaco: stato e prospettive", Quad. cost., 2, 1996, pp. 182 e ss.; Palermo, F., Germania ed Austria: modelli federali e bicamerali a confronto, Trento, Dipartimento di studi giuridici, 1997. 21
22 Questa affermazione potrebbe essere generalizzata anche ad altre esperienze costituzionali extraeuropee. A titolo esemplificativo possiamo citare il Canada, dove il Senato è nominato dal governatore generale e non viene percepito come un reale organo di rappresentanza delle Province e analogamente in Australia, dove i senatori sono eletti a suffragio universale diretto con un sistema proporzionale e questo finisce per renderli rappresentanti dei cittadini nei rispettivi stati e non portatori degli interessi statali. Sul Senato canadese: Passaglia, P., "Il Senato canadese: anomalia o originalità?", Dir. pubbl. comp. eur. , 4, 2003, pp. 1913 e ss.; Staunton-Linch, J., "The Role of the Senate in the Legislative", Can. Parl. Rev. , 2, 2000, pp. 10 e ss.; Joyal, S., The Path to Senate Reform, ivi, 2, 1999, pp. 2 e ss.; Grimard, N., Is Senate Reform a Dead Issue? , ivi, 1, 1997, pp. 7 e ss. Sul Senato australiano: Ray, R., "A Benchmark of Procedural Fairness: the Right of Reply in the Australian Senate", The Parliamentarian, 3, 2004, pp. 233 e ss.; Galligan, B. e Uhr, J., "Australian Federal Democracy and the Senate", in Emy, H. V. (cur.), Australia and New Zeland, Aldershot, Ashgate,1999, pp. 237 e ss. Inoltre, sia consentito rinviare a Ceccherini, E., "Esperienze di regionalizzazione del Parlamento nel Regno Unito e in alcuni paesi del Commonwealth britannico", in Groppi, T. (cur.), Principio di autonomia, cit. , pp. 271 e ss.; Ead., "I rapporti fra Federazione e Province in Canada:l´esperienza delle relazioni intergovernative", Dir. pubbl. comp. eur., 2, 2002, pp. 669 e ss. 22
23 Violini, L., Bundesrat e Camera delle Regioni. Due modelli alternativi a confronto, Milano, Giuffrè, 1989; Schefold, D., "Cooperazione politica e amministrativa. Il Bundesrat tedesco come modello di intreccio", in D´Atena, A. (cur.), Federalismo e regionalismo in Europa, Milano, Giuffrè, 1994, pp. 165 e ss.; Palermo, F., op. cit. ; Gotz, V., "Qualche osservazione sul Bundesrat", Quad. cost., 2001, pp. 325 e ss.; Klus-Jungen, N., "El federalismo alemán. ¿Más cooperación o nueva asimetría?", Rev. est. pol., 118, 2002, pp. 40 e ss.; Danwitz, T. von, "La colaboración en la estructura del Estado. La experiencia alemana", Rev. est. aut., 1, 2002, pp. 50 e ss. 23
24 Rosenthal, D. B. e Hoefler, J. M., " Competing Approaches to the Study of American Federalism, and Intergovernmental Relations", Publius, 1, 19, 1989, pp. 1 e ss. 24
25 El Hag Yousif, N. D. e Valsan, E. H., Intergovernmental Relations in the Sudan, paper presentato al Congresso annuale dell´International Association of Schools and Institutes of Administration, Birmingham 19-22 luglio 1999, 1; su questa tendenza a livello comparato in generale, Rolla, G., " L´autonomia costituzionale delle comunità territoriali. Tendenze e problemi", in Groppi, T. (cur.), Principio di autonomia, cit. , pp. 3 e ss. 25
26 Bertolino, C., op. cit., nota 17; Álvarez García, V., " Comunidades culturales, regiones y relaciones en la organización interadministrativa", Rev. esp. der. adm., 70, 1991, pp. 3 e ss. 26
27 Mistò, M., op. cit.; Danwitz, T. von, "La colaboración en la estructura del Estado. La experiencia alemana", cit., nota 23, pp. 13 e ss. 27
28 Sanjurio, V. A., " Federalismo y procedimiento legislativo en Alemania: el peculiar caso del Bundesrat", Rev. Cortes Gen., 40-44, 1991, pp. 9 e ss.; Palermo, F., op. cit.; Pezzini, B., Il Bundesrat della Germania federale: il modello tedesco e la riforma del bicameralismo nello Stato a base regionale, Milano, Giuffrè, 1990. 28
29 Benedetto, E. di, op. cit.; Bifulco, R., Il federalismo austriaco, cit., p. 760. 29
30 Rodríguez-Zapata, J., "Artículo 145. Convenios entre Comunidades Autónomas", in Alzaga Villaamil, O. (cur.), Comentarios a las leyes polìticas. La Constitución Española de 1978, Madrid, Edersa, 1988, vol. XI, p. 22. 30
31 Sul procedimento, v. Ripollés Serrano, M. R., "El Senado", Informe Comunidades Autonomas, 1993, Barcellona, Instituto de Derecho Público, 1994, vol. I, p. 93. 31
32 Sul punto, García Couso, S., La participación de las Cortes Generales en los convenios y acuerdos de cooperación entre Comunidades Autónomas, Madrid, Senado, 2004; Tajadura Tejada, J., El principio de cooperación en el Estado autonómico, Granada, Comares, 1998, pp. 61 e ss.; id., "Cortes Generales y cooperación interautonómica", Rev. Cortes Gen., 48, 1999, p. 8. 32
33 Dorremo de Carlos, A. e Gutiérrez Vicén, C., "El Senado", Informe Comunidades Autónomas, 1996, Barcelona, Instituto de Derecho Público, 1997, vol. I, p. 88; Cruz Alli, J., "La cooperación entre Comunidades Autónoma Vasca y la Comunidad Foral de Navarra de 4 de junio de 1992", Estudios de Deusto, 45, 2, 1997, p. 3. 33
34 Luciani, M., "Un regionalismo senza modello", Le Reg. , 1994, p. 1320. 34
35 Su questo tema, Rolla, G. (cur.), La tutela del principio unitario, cit.35
36 Marini, F. S., "La `pseudocollaborazione´ di tipo organizzativo: il caso della Conferenza Stato-Regioni", in D´Atena, A. e Grossi, P. (cur.), Diritto, diritti e autonomie tra Unione Europea e riforme costituzionali. In ricordo di Andrea Paoletti, Milano, Giuffrè, 2003, pp. 339 e ss.; D´atena, A., "Verso una riconsiderazione della c.d. collaborazione tra Stato e Regioni?", Giur. it., 1987, p. 3382; Azzena, A., "Conferenze Stato-autonomie territoriali", Enc. dir., 1999; pp. 415 e ss.; Capotosti, V., "La Conferenza Stato-Regioni tra garantismo e cogestione", Le Reg., 1987, pp. 896 e ss.; Pastori, G., La Conferenza Stato-Regioni fra strategia e gestione, ivi, 1994, pp. 1261 e ss.; Sandulli, A., La Conferenza Stato-Regioni e le sue prospettive, ivi, 1995, pp. 837 e ss.; Ruggiu, I., Conferenza Stato-Regioni: un istituto del federalismo «sommerso» , ivi, 2000, p. 853, e sia consentito rinviare a Ceccherini, E., "Intergovernmental Relations in Italy: the Permanent State-Regions-Autonomous Provinces Conference", Regional studies (in corso di pubblicazione). 36
37 Benedetto, E. di, op. cit., nota 21; Lienbacher, F., "The Evolution of Federalism, Regionalism and Decentralisation", Zör. 51, 1996, pp. 113 e ss. 37
38 Bertolino, C., op. cit., nota 17. 38
39 Legge 21 luglio 1971 sui Consigli delle Comunità francese e fiamminga e legge 31 dicembre 1983 sulla Comunità germanofona. 39
40 Bertolino, C., op. cit., nota 17. 40
41 Idem; Verdussen, M., "El federalismo belga", Cuadernos de Alzate, 30, 2004, pp. 59 e ss. 41
42 Bertolino, C., op. cit., nota 17. 42
43 Dell´inizio della procedura negoziale deve essere data notizia al Tribunale Costituzionale entro tre mesi dalla pubblicazione dell´atto oggetto del contenzioso. 43
44 Sarandrea, A., "Stato e Comunità autonome di fronte al Tribunal Costitucional spagnolo", Amm. (in corso di pubblicazione); Montilla Martos, J. A., " La solución política o las controversias competenciales. A propósito de la LO 1/2000 de modificación de la Ley Orgánica del Tribunal Constitucional", An. der. const. parl., 12-13, 2000-2001, pp. 126 e ss.; Jiménez Campo, J., "Política de constitucionalidad (una reflexión ante los nuevos modos de impugnar la ley)", Rev. esp. der. const., 59, 2000; Espín Templado, E., "Artículo 33", in Requejo Pagés, J. L. (cur.), Comentarios a la ley orgánica del Tribunal constitucional, Madrid, Tribunal Constitucional-Boletín Oficial del Estado, 2001, pp. 495 e ss.; Tornos Mas, J., " Órganos mixtos de colaboración y reducción de la conflictividad", Rev. est. aut., 1, 2002, p. 201; Pamio, V., " La giustizia costituzionale in Spagna", in Groppi, T. e Olivetti, M. (cur.), La giustizia costituzionale in Europa, Milano, Giuffrè, 2003, pp. 221 e ss. 44
45 Bassu, C., "Le relazioni intergovernative in Spagna", Amm. (in corso di pubblicazione); Fernández Farreres, G., "Las conferencias sectoriales y los consorcios en las relaciones de colaboración entre el Estado y las Comunidades Autómomas", in aa. vv., Las relaciones interadministrativas de cooperación y colaboración, Barcelona, Tirant lo Blanch, 1993, pp. 53 e ss.; Tajadura Tejada, J., El principio de cooperación, cit., pp. 120 e ss.; Corcuera Atienza, J., " La participación intergubernamental sectorial en el sistema autonómico español: las conferencias sectoriales", in Pérez Calvo, A. (cur.), op. cit., pp. 49 e ss.; e sia consentito rinviare a Ceccherini, E., Le relazioni tra Governo centrale, cit., p. 893. 45
46 Alli Aranguren, J. C., "El principio de cooperación en la doctrina del Tribunal Constitucional español", Rev. est. aut., 2-3, 2002-2003, pp. 33 e ss.; Cruz Villalón, P., "La doctrina constitucional sobre el principio de cooperación", in Cano Bueso, J. (cur.), Comunidades autónomas e instrumentos de cooperación interterritorial, Madrid, Tecnos, 1990, pp. 43 e ss. 46
47 Tornos Más, J., "Las conferencias sectoriales", Doc. adm., 240, 1994, p. 74; Los convenios de colaboración entre la administración general del Estado y las comunidades autónomas, Madrid, Ministerio de las Administraciones Públicas, 2001. 47
48 Si ricorda che questi convenios sono diversi come struttura e procedimento dai convenios dell´articolo 145 della Costituzione (v. supra), in quanto i primi sarebbero degli strumenti di cooperazione verticale e non orizzontale come i secondi. 48
49 Aja, E., I rapporti tra lo Stato e le Comunità Autonome, cit., p. 89. Font i Llovet, T., " Cooperación bilateral y cooperación multilateral: el papel de los hechos diferenciales en la cooperación", Rev. est. aut., 1, 2002, pp. 37 e ss. 49
50 Jones, F., "Scottish Devolution and Demarcation Disputes", Pub. L., 1997, p. 283; Poggeschi, G., "La Devolution Scozia", Ist. Fed., 1998, pp. 937 e ss.; Ewing, K. D., Un nuovo partito laburista, un nuovo governo, una nuova Costituzione: il decentramento in base all´atto scozzese del 1997, Bologna, Clueb, 1999; Caravale, G., "Devolution scozzese e nuovi assetti costituzionali in Gran Bretagna", Rass. Parl. , 2000, pp. 659 e ss.; O´Neill, M., "Great Britain: Form Dicey to Devolution", Parl. Aff., 2000, pp. 69 e ss.; Cuchillo Foix, M., Las instituciones de autogobierno en Escocia, Madrid, Tecnos, 2001; O´Connor, S. D., "Altered States: Federalism and Devolution at the "Real Turn of the Millenium", Cambridge L. Journ., 2001, 60, 3, pp. 493 e ss. 50
51 SE/20002/54; http://www.scotland.gov.uk/library2/memorandum.51
52 Si fa notare che il Joint Ministerial Committee svolge funzioni analoghe a quelle previste dal Comitato di Concertazione in Belgio e dalla commissioni bilaterali di cooperazione. Questa sua competenza è effettivamente assai rilevante, anche perché a tutt´oggi non sembra che l´ordinamento britannico abbia previsto un giudice arbitro dei conflitti competenziali, sul punto v. Groppi, T., Conflitti devolutivi: nuovi percorsi per il judicial review of legislation, in http://www.unisi.it/ricerca/dip/dir_eco/COMPARATO/ ago5.html; Jones, F., op. cit., nota 50, pp. 283 e ss. 52
53 Poirer, J., The Function of Intergovernmental Agreements: Post-Devolution Concordats in a Comparative Perspective, Thornventon, Imprint Academic, 2001. 53
54 Su questa tendenza a livello comparato, v. Rolla, G., L´autonomia costituzionale, cit., p. 3. 54
55 Allegretti, U., op. cit., nota 10, p. 431. 55
56 Terrón Montero, J. e Cámara Villar, G., " Principios y técnicas de cooperación en los Estados compuestos: reflexiones sobre el caso de España", in Cano Bueso, J. (cur.), op. cit. , pp. 53 e ss.; García Morales, Ma. J., Convenios de colaboración en los sistemas federales europeos, Madrid, McGraw Hill, 1998. 56
57 Caretti, P., "Gli accordi tra Stato e Regioni e autonomie locali: una doccia fredda sul mito del sistema delle Conferenze", Le Reg., 2002, pp. 42 e ss. 57
58 Su questo tema si veda in generale: Plutino, M., "La partecipazione delle Regioni alla formazione della decisione politica comunitaria", in Chieffi, L. (cur.), Regioni e dinamiche di integrazione europea, Torino, Giappichelli, 2003, pp. 49 e ss.; Festa, R., "Le garanzie delle Regioni nell´Unione Europea: dal Trattato di Maastricht al Progetto di Trattato costituzionale", Amm. (in corso di pubblicazione). 58
59 L´articolo 5 della legge n. 131 del 2003 ha consentito che, nelle materie che spettano alle Regioni, il Capo delegazione all´Unione Europea può essere anche un presidente della Regione. Groppi, T., "Unione Europea: delegazioni anche a guida regionale (Commento agli artt. 5 e 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131)", Guida al diritto, 26 luglio 2003, n. 29, pp. 51 e ss. 59
60 Festa, R., op. cit. , nota 58. 60
61 Salinas Allega, S. e Mairal La Coma, J. A., "Comunidades Autónomas y Comunidades Europeas, con especial referencia a la Conferencia sectorial para los asuntos relacionados con las Comunidades Europeas", Rev. aragonesa adm. publ., 6-7, 1995, pp. 317 e ss.; Gosálbez Pequeño, H., "Los actos de la Conferencia para asuntos relacionados con las Comunidades Europeas: naturaleza y régimen jurídico", Rev. vasca adm. publ., 59, 2001, pp. 221 e ss.; Cascajo Castro, L., "La participación de las Comunidades Autónomas en las decisiones comunitarias del Estado: ea Conferencia para asuntos relacionados con las Comunidades Europeas", in Pérez Calvo, A. (cur.), op. cit., pp. 81 e ss.; Orofino, M., " La partecipazione delle Comunità autonome spagnole all´integrazione europea", Dir. pubbl. comp. eur., 2001, p. 1163; Salvadori, A., "Le Comunità Autonome spagnole e il diritto comunitario: spunti di riflessione", Le Reg. , 1, 2002; Carmona Contreras, A., "La partecipazione degli enti territoriali ai processi di elaborazione e applicazione del diritto comunitario: il caso spagnolo", Le Reg., 2002, pp. 815 e ss. 61
62 Groppi, T., "Regioni e Unione Europea", in Groppi, T. e Olivetti, M. (cur.), La Repubblica delle autonomie, cit., pp. 155 e ss.; Bilancia, P., "Regioni ed attuazione del diritto comunitario", Ist. fed. 1, 2002, pp. 40 e ss.; Negel, K. J., "L´intervento delle Regioni nella politica europea", Ist. fed., 1, 2004, pp. 43 e ss. 62